Quesito posto all’uff. legale dell’avv.to Rienzi e relativa risposta .

Viene richiesto di valutare la possibilità di un’eventuale azione legale a sostegno dei medici che effettuano, per conto dell’INPS, in regime libero professionale, le visite mediche domiciliari di controllo dei lavoratori assenti per malattia, al fine di ottenere l’estensione, in loro favore, del regime economico-giuridico previsto per i medici delle ASL, che effettuano tali viste in regime di convenzione col SSN.

Come è noto, in base all’art. 5, commi 10 e 12, decreto legge n. 463/83, convertito in legge 11 novembre 1983, n. 638, le visite mediche domiciliari di controllo dei lavoratori assenti per malattia sono effettuate sia da medici delle ASL, convenzionati con il SSN, sia da medici iscritti in apposite liste speciali tenute presso le sedi INPS, “formate da medici liberi professionisti”.

Accade così che a fronte dello stesso tipo di attività - le visite mediche domiciliari di controllo dei lavoratori assenti per malattia -, i medici delle ASL godono di tutte le garanzie ed i diritti che contrassegnano i rapporti in convenzione col SSN, mentre i medici iscritti nelle suddette liste speciali tenute dall’INPS, essendo considerati quali liberi professionisti sono del tutti sprovvisti di tali diritti e garanzie.

Tale disparità di trattamento si pone in contrasto col principio d’eguaglianza, di cui all’art. 3, Cost., che come è noto impone, secondo la costante giurisprudenza della Corte costituzionale, di trattare in modo uguale situazioni analoghe, ed in modo diverso situazioni differenti. Da qui la possibile illegittimità costituzionale dell’art. 5, DL 463/83, nella parte in cui ha preteso di qualificare come libero-professionale il rapporto che si instaura tra l’INPS ed i medici in questione, diversamente da quanto accade invece per i medici delle ASL, che svolgono gli stessi compiti, discriminando in tal modo i medici INPS.

In secondo luogo, la norma in esame appare inficiata da un ulteriore profilo di illegittimità costituzionale, laddove ha preteso di configurare ex lege, come rapporto libero professionale, un rapporto che già nelle intenzioni dello stesso legislatore, e comunque per sua stessa natura, non poteva che configurarsi quale rapporto subordinato. Tali medici, infatti, ribadiamo, sono chiamati ad occuparsi stabilmente dell’effettuazione delle viste in questione, e sono tenuti all’osservanza di una serie di obblighi e di doveri, tipici del lavoro subordinato.
Del resto, gli stessi decreti ministeriali, attuativi dell’art. 5, DL 463/83, nel dar forma concreta a tale rapporto, prevedono una serie di obblighi, a carico dei medici in questione, tipici della subordinazione. Si pensi ad esempio agli stringenti vincoli che gravano sui predetti medici, obbligati ad effettuare visite domiciliari di controllo, secondo le esigenze dell’Ente, tutti i giorni dell’anno, festivi e superfestivi compresi (Cfr art. DM Lavoro e Previdenza sociale, n. 170/83). Si pensi ancora al potere disciplinare - espressione tipica della subordinazione - attribuito all’INPS, dall’art. 10, DM Lavoro e Previdenza Sociale, 18 aprile 1996, che può giungere sino alla sospensione o revoca dall’incarico.
Le stesse incompatibilità previste dall’art. 6, del suddetto DM, costituiscono un ulteriore indice della subordinazione, ove si consideri che esse contrassegnano generalmente il rapporto di pubblico impiego, ed hanno lo scopo di evitare che l’interesse pubblico da perseguire da parte di un ente pubblico non venga sacrificato ad eventuali interessi privati, di cui potrebbe risultare titolare il pubblico impiegato, ove lo stesso svolgesse per proprio conto attività lavorative.
Del resto, il precedente regime di incompatibilità contenuto nell’art. 6 del DM 18 aprile 1996, poi modificato ed attenuato, ad opera del DM, 12 ottobre 2000, che rendeva l’attività di medico fiscale dell’INPS praticamente incompatibile con qualsivoglia altra attività professionale, la dice lunga sulla effettiva natura di tale rapporto, ove si consideri che in un rapporto libero professionale non vengono in rilievo particolari questioni di incompatibilità, avendosi un soggetto - il libero professionista -, che sta sul mercato ed offre delle prestazioni a chiunque gliene faccia richiesta, fermi restando taluni e inevitabili obblighi deontologici, volti ad evitare commistioni di interessi.
E’ da ritenere peraltro come alla riduzione del regime di incompatibilità, operata col citato DM, 12 ottobre 2000, non sarà stata peraltro estranea la preoccupazione dell’INPS, che un così vasto e rigido sistema di incompatibilità avrebbe potuto tradursi in un elemento decisivo ai fini di una ricostruzione del rapporto in questione, quale rapporto non libero-professionale. Di qui la scelta di ridurre il più possibile le cause di incompatibilità.

Del resto, un primo passo verso il riconoscimento della natura subordinata del rapporto tra medici fiscali ed INPS è stato già compiuto dalla stessa Corte di Cassazione, che ha configurato tale rapporto come di collaborazione continuata e coordinata, una sorta di via di mezzo tra libera professione e lavoro subordinato.

Il succitato art. 5, DL 463/83, infine, si pone in contrasto con l’art. 36 Cost., che come è noto stabilisce che “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sè‚ e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa.”
Infatti, da un lato, lo Stato, attraverso l’INPS, vuole assicurarsi un corpo stabile di medici che si occupi stabilmente dei controlli medici domiciliari dei lavoratori assenti per malattia, e quindi avere la certezza di poter contare su un loro stabile apporto, assoggettandoli peraltro a stringenti vincoli in termini di disponibilità oraria e disciplinari, dall’altro si negano a tali medici diritti e garanzie fondamentali del lavoro subordinato. Tradendo la lettera e lo spirito del principio costituzionale ora citato, il cui fine è proprio quello di evitare forme di sfruttamento dei lavoratori, e garantirne al contempo i diritti economico-sociali fondamentali.
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Al fine di far valere i suddetti profili di illegittimità costituzionale occorre promuovere apposita azione legale (ricorso), ai sensi dell’art. 409, codice procedura civile, davanti al competente giudice del lavoro. Se tale Giudice riterrà fondata la questione di legittimità costituzionale, rimetterà gli atti alla Corte Costituzionale, affinché la stessa si pronunzi su tale questione. In caso di accoglimento della stessa, ne conseguirebbe il venir meno della predetta norma, con conseguente diritto dei medici fiscali INPS alla trasformazione del rapporto di lavoro, in senso analogo a quello previsto per i medici delle ASL che svolgono gli stessi compiti.

Giova poi osservare che, in base all’art. 413, codice procedura civile, il giudice competente a conoscere di un tale eventuale ricorso è il giudice nella cui circoscrizione ha sede l’Ente in favore del quale viene svolta la prestazione lavorativa.
Da ciò consegue, nel caso di specie, che sarà competente il giudice del Tribunale della città in cui si trova la sede INPS, nelle cui liste speciali risulta iscritto il singolo medico.
Rimane da valutare, alla luce di talune norme del codice di procedura civile, in materia di competenza territoriale, la possibilità di poter proporre un’unica causa, innanzi al Tribunale di Roma, da parte dei vari medici fiscali, iscritti nelle liste speciali delle varie sedi INPS.
Giova infine rammentare come l’eventuale proposizione del ricorso, dovrà essere obbligatoriamente preceduta, ai sensi dell’art. 410, codice procedura civile, da un tentativo di conciliazione, presso l’apposita commissione di conciliazione.

Roma, 3 maggio 2010
Avv. Gino Giuliano

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