TE LO DO IO L’EQUO COMPENSO!!


Una delle maggiori conquiste degli ultimi tempi, di cui si vantano alcuni, sembra sia quella di aver ottenuto, dopo “30 anni di precariato” (forse si ha un’idea un po’ confusa del concetto di precariato) lo scalpo del decreto ministeriale 8 maggio 2008.
Il decreto, come noto, aveva aggiornato, sulla base dell’indice ISTAT, i compensi previsti dal decreto ministeriale 12 ottobre 2000, determinati ai sensi della tabella A, DPR 17 febbraio 1992 recante “Tariffa minima nazionale degli onorari per le prestazioni mediche chirurgiche riservata ai medici liberi professionisti”, abrogata dalla cd legge Bersani nel 2006.
Le tariffe minime nazionali, inoltre, seppur abrogate, sono rimaste come “riferimento o suggerimento” anche per non umiliare la classe medica con compensi “Fai da te” che, in qualche caso, si sono collocati al di sotto della soglia della decenza.
Successivamente, a dicembre 2017, è stata approvata la legge su l’equo compenso e si è in attesa della emanazione dei decreti che stabiliranno i parametri per quanto riguarda le prestazioni rese dai liberi professionisti anche in rapporto con le PPAA.
Il tariffario del 1992 prevedeva, tra l’altro, sia il compenso per la disponibilità oraria, pari a euro 37,00 ca, che il compenso per la visita, pari a euro 46,00 ca, entrambi rivalutati sulla base dell’indice ISTAT.
Quindi, essendo la tipologia del rapporto prevista dalla convenzione in discussione “Convenzionato libero professionale” e dato che si è deciso di corrispondere al medico fiscale sia il pagamento della disponibilità oraria che il compenso per la visita, sarebbe stato sufficiente fare riferimento al tariffario minimo per i liberi professionisti, ancorche abrogato, anche per non incorrere nel rischio sopra ricordato di riconoscere ai medici fiscali un compenso non adeguato o addirittura mortificante.
Ovviamente, le risorse disponibili non sono sufficienti a riconoscere a 1000 medici fiscali FTE liberi professionisti il compenso per una disponibilità oraria di 38/h settimanali e compenso a visita per un minimo tra 120 e 150 visite garantite al mese, come sopra determinati, ma,  né il decreto legislativo 75/2017, né tantomeno l’atto di indirizzo, non prevedono né presuppongono che il medico fiscale debba essere disponibile 38/h la settimana, con la conseguenza di dovergli assegnare un carico di lavoro in proporzione, come abbiamo cercato più volte di spiegare, con tutte le conseguenze che ne derivano in termini economici, di qualità del lavoro e di tenuta degli incarichi (abbiamo anche ricordato i rischi di un’eventuale contrazione delle fasce di reperibilità).
Recita, infatti, l’atto di indirizzo:
“a) la convenzione prevede un rapporto convenzionale su base oraria e individua il monte ore di impegno settimanale, tra un  minimo  ed  un  massimo, ricadente nelle fasce di reperibilita' stabilite per  l'effettuazione
di visite mediche di controllo”. 
Sarebbe stato sufficiente, in base ai compensi sopra determinati e alle risorse disponibili, fare una semplice proporzione che si studia in prima media (non una disequazione a tre incognite di secondo grado) e verificare quante ore di disponibilità il medico avrebbe dovuto garantire tenendo conto del compenso a visita in proporzione al numero delle ore. 
Nelle Aziende Sanitarie Locali, gli incarichi conferiti nella medicina dei servizi per effettuare le visite fiscali, venivano assegnati in base alle risorse disponibili e mai e poi mai nessuno si sarebbe sognato di proporre una riduzione dei compensi per aumentare le ore di incarico o il numero delle visite.  
Il committente aveva solo una strada per modificare i compensi al ribasso ed è quella seguita, chiudendo in un cassetto il decreto ministeriale 8 maggio 2008. Non si sta parlando di compensi lunari, ma del “Minimo sindacale” spettante a medici liberi professionisti.
Non trova neanche giustificazione il fatto di affermare che parte dei compensi è riconosciuta sotto forma di “tutele”, perché facendo la somma tra compensi e “tutele”, il totale è nettamente inferiore e, nello stesso tempo, aspetto più importante, lo status non viene modificato restando liberi professionisti (primo e unico caso in Italia).
Qualcuno potrebbe gridare, scandalizzato, che riconoscere i compensi di cui sopra è sabotare il Polo Unico, perché il numero delle visite diminuirebbe senza riflettere, però, che questo è dovuto unicamente perché si è costretti a garantire una  disponibilità spropositata di 38/h che assorbe parte dei compensi destinati, altrimenti, alla effettuazione delle visite.
Almeno che….., almeno che, come sospettano i soliti maliziosi(ma sicuramente non sarà vero), visto che la convenzione per i medici fiscali in discussione sarà la base di partenza anche per la convenzione dei medici esterni, il vero e unico obiettivo di riconoscere una inutile, pesante e sottopagata disponibilità ai medici fiscali di 38/h settimanali, non sia quello di estendere, successivamente, tale  disponibilità (ovviamente senza  i compensi ridicoli, visto che, tra l’altro, quelli riconosciuti ai medici esterni si è già provveduto ad aggiornarli)  ai medici esterni (un conto 38/h in ambulatorio altro è con il fondo schiena incollato sul sedile dell’auto a spasso per tutta la provincia). Per i medici fiscali, invece, come avrebbe detto il simpatico Bonolis: “Non c’è trip for cats”
Inoltre, come ricordato, è ora in vigore anche la legge 4 dicembre 2017, n.172 su l’equo compenso che, all’articolo 19-quaterdecies, recita:
“2. Le disposizioni di cui all'articolo 13-bis della legge 31 dicembre 2012, n. 247, introdotto dal comma 1 del presente articolo, si applicano, in quanto compatibili, anche alle prestazioni rese dai professionisti di cui all'articolo 1 della legge 22 maggio 2017, n. 81, anche iscritti agli ordini e collegi, i cui parametri ai fini di cui al comma 10 del predetto articolo 13-bis sono definiti dai decreti ministeriali adottati ai sensi dell'articolo 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27.
3. La pubblica amministrazione, in attuazione dei princìpi di trasparenza, buon andamento ed efficacia delle proprie attività, garantisce il principio dell'equo compenso in relazione alle prestazioni rese dai professionisti in esecuzione di incarichi conferiti dopo la data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”.
Per completezza di informazione, si ricorda che l’articolo 1, legge 22 maggio 2017, n.81, richiamato dalla norma su l’equo compenso, recita:
“1. Le disposizioni del presente capo si applicano  ai  rapporti  di lavoro autonomo di cui al titolo III  del  libro  quinto  del  codice civile, ivi inclusi i rapporti  di  lavoro  autonomo  che  hanno  una disciplina particolare ai sensi dell'articolo 2222 del codice civile”.

A questo punto, qualche domandina sorge spontanea: 
Il rapporto dei medici fiscali, convenzionato libero professionale, si inquadra come lavoro autonomo regolato dall’articolo 2222 e seguenti del codice civile?

Quindi, visto che, in presenza di un compenso ritenuto NON EQUO per un libero professionista è prevista la sostituzione con il compenso determinato dal giudice, qualsiasi medico fiscale potrà far valere i propri diritti?
E nella ipotesi che il giudice dovesse accertare, sulla base dei parametri definiti, che il compenso non è equo, potrà essere richiesto un risarcimento? E chi, eventualmente, sarà chiamato a risarcire i medici fiscali?
Inoltre, nel caso in cui la maggioranza dei medici fiscali, attraverso i loro rappresentanti, dovessero comunque accettare un compenso ritenuto non equo e obbligati ad essere disponibili 38/h settimanali, potranno ugualmente rivolgersi al giudice o questa strada sarà preclusa visto che a monte c’è un accordo con il committente?
Infine, un eventuale compenso non equo comunque concordato con il committente, si può ritenere accettato dalla maggioranza dei medici fiscali anche quando le OOSS eventualmente firmatarie dovessero rappresentare, non la maggioranza dei medici, ma la sola maggioranza di quelli  iscritti alle Organizzazioni stesse?
mauro

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