INDIANA JONES E L’ULTIMA CONVENZIONE
Al di fuori delle convenzioni che regolamentano i rapporti tra i medici e il SSN, che sono del tutto conformi agli accordi collettivi nazionali e regolamentate da leggi ben specifiche, non è possibile poter instaurare, con le Pubbliche Amministrazioni, rapporti convenzionali libero professionali a tempo indeterminato.
Unica eccezione, come abbiamo più volte cercato (inutilmente, visti i risultati) di spiegare, è rappresentata dal quadro normativo che regolamenta il rapporto dei medici fiscali che si protrae, senza soluzione di continuità, dal 1996 e, grazie alle due leggi, blocca liste e priorità, consente di poter mantenere il rapporto fino alla permanenza nella lista ad esaurimento.
Inutile sbraitare, solo per aumentare l’audience, che anche i medici di assistenza primaria o continuità assistenziale sono anche loro, come i medici fiscali, liberi professionisti, ma hanno un rapporto a tempo indeterminato. Sarebbe stato opportuno, prima di diffondere tali affermazioni e, al solo fine di evitare altre brutte figure, effettuare approfonditi studi e capire la differenza più volte ricordata.
A quel punto qualsiasi cretino si chiederebbe perché non sia stata chiesta una convenzione del SSN.
Una volta entrata in vigore l’ipotesi di accordo in corso di approvazione, che determinerà una modifica radicale dell’attuale quadro oggi in vigore, non si potrà tornare indietro (almeno che, un giudice non ne dichiari la nullità) e nulla contano gli “addendum” che qualcuno vaneggia di far approvare successivamente.
Tralasciamo di commentare, per decenza, le ultime supercazzole del rapporto a tempo indefinito o fino all’età pensionabile che farebbero arrossire anche il conte Lello Mascetti.
Con un’unica botta si perdono diritti e compensi faticosamente ottenuti in 30 anni e si guadagnano vincoli, obblighi e incompatibilità riscontrabili solo in un rapporto di dipendenza o nella specialistica ambulatoriale.
Tra l’altro, il tanto decantato fisso mensile, sbandierato in alcuni ambienti come soluzione equa per quelle sedi dove si effettuano poche visite, penalizzerebbe sia i sanitari con scarsi controlli che quelli dove il lavoro non manca.
I primi, con la scusa del fisso mensile sarebbero costretti a girare tutta la provincia per giustificare l’importo percepito, senza, tra l’altro il riconoscimento della quota fissa in base alla distanza, mentre i secondi, vista l’esiguità del fisso e del compenso per la visita, viaggerebbero a 8 visite al giorno portando a casa il 30% in meno dei compensi rispetto ad oggi.
Almeno che, per equità, non si voglia intendere che vengono scontentati tutti, nessuno escluso.
Al contrario, con il carico blindato di 90 visite mensili, sarebbe stata superata qualsiasi disparità consentendo, allo stesso tempo, per i sanitari che lavorano in quei territori con un elevato numero di visite di poter avere un compenso proporzionato al maggior carico di lavoro e, per tutti gli altri, un compenso più che dignitoso con gli attuali importi ancorche risalenti al 2008.
Il principe avrebbe detto: “E’ la somma che fa il totale”.
mauro